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Le coop di comunità rigenerano città, economie e relazioni

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Articolo di Alessia Maccaferri pubblicato su Il Sole 24 Ore

Nate nei luoghi più sperduti del paese a partire dagli anni Novanta, via via le cooperative di comunità hanno rigenerato economie locali, territori dimenticati e relazioni sociali. Ora da fenomeno diffuso per lo più nelle aree interne si affermano anche in città ridando identità ai luoghi e ricucendo i legami sociali. Come a Bologna dove da un’edicola, diventata la certezza di tutto un quartiere, fiorisce una visione di rigenerazione urbana che non va a braccetto con mega investimenti immobiliari- come spesso accade in città – ma con le persone e il loro bisogno di qualità della vita.

«L’edicola rischiava la chiusura a seguito del pensionamento della titolare. Per cui noi come gruppo di cittadini abbiamo deciso di prendere in carico non solo un luogo fisico che ha dimostrato di essere un presidio di utilità pubblica, ma questo patrimonio di relazioni, di coesione, di conoscenze. Sentivamo forte dopo il Covid la necessità di rinsaldare i legami» spiega Antonio Cardelli, presidente della cooperativa di comunità Il Passo della Barca a Bologna.

Così da una manciata di famiglie motivate è nata nel marzo 2021, la cooperativa – 79 soci fondatori – che sia con risorse proprie sia con un crowdfunding di Produzioni dal Basso ha rilevato l’edicola con l’idea di trasformarla in un vero e proprio presidio, un chiosco di comunità capace di gestire servizi e attività per i cittadini, sia all’interno sia negli spazi verdi attorno. «L’obiettivo nostro è coniugare la qualità dello spazio urbano con la qualità della vita dei cittadini attraverso servizi di prossimità di natura culturale, sociale, ambientale» aggiunge Cardelli.

Attorno a questa esperienza la cooperativa ha costruito progetti d’impresa come un lido urbano – ricavato da un’area dismessa – che d’estate ospita il piccolo festival Cultura da spiaggia, con spettacoli all’aperto, laboratori, incontri. L’iniziativa – inserita nella rassegna Bologna Estate – permette sia di costruire occasioni di incontro sia di avere una ricaduta economica (punti di ristoro) che genera risorse da reinvestire negli spazi urbani.

Di esperienze come quella di Bologna ormai ce ne sono altre: delle 321 coop di comunità il 64% è radicato nelle aree interne, ma il 14% è nelle città e il 21,8% nelle aree peri-urbane, i territori di transizione tra le città e le zone rurali, caratterizzati da una bassa densità abitativa ma vicini ai centri urbani, secondo i dati di “Economie di luogo”, studio realizzato da Aiccon con Legacoop. «I casi osservati di cooperative di comunità operanti in contesti urbani mostrano la grande adattabilità e replicabilità di questa modalità di fare cooperazione – spiega Andrea Baldazzini, direttore Responsabile area Welfare e Economia Sociale di Aiccon – Esse sono espressione di quello che potremmo definire neo-mutualismo, pratiche che hanno trovato metodi inediti per declinare il principio dello scambio mutualistico attualizzandolo e rendendolo coerente con la natura delle sfide socio-economiche contemporanee». Le attività prevalenti sono nel turismo e cultura, secondariamente servizi-sociale, rigenerazione urbana, cura e tutela dell’ambiente.

Ma cosa spinge le comunità verso l’aggregazione in cooperative? Il 29% delle realtà è nato per fronteggiare forme di vulnerabilità sociale e il 12% vulnerabilità dal punto di vista urbano e ambientale. Nel quartiere Quarticciolo di Roma è nata a settembre una cooperativa di comunità con dieci persone socie, partendo dall’urgenza di offrire alle donne occasioni di lavoro nel catering e nella ristorazione. «Abbiamo scelto la formula della cooperativa di comunità – spiega Alessia Pontoriero, presidente della cooperativa Botteghe Quarticciolo Ora partiamo con il progetto di catering ma poi l’idea è quella di coniugare sia attività produttive che servizi per il territorio».